Convegno ecclesiale
 

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Uno stile da imitare

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pubblicato marted́ 20 marzo 2012



Sicuramente le conclusioni del Convegno, che tirerà il pomeriggio di domenica 18 marzo il Vescovo in Cattedrale, sono importanti e attese. Ma per gli oltre 600 delegati, che hanno partecipato alle tre mezze giornate di lavoro, già l'aver preso parte a questo appuntamento è stato motivo di soddisfazione. Perché si sono sentiti accolti e ascoltati. Perché hanno incontrato persone che condividono le stesse speranze e preoccupazioni. Perché hanno potuto portare la loro goccia nel mare della Chiesa diocesana. Davvero chi è mancato ha perso un'occasione per fare Chiesa.

Questo sentimento diffuso lo pongono in risalto cinque animatori dei gruppi di lavoro che abbiamo intervistato: don Marco Zarpellon (gruppo "Eucaristia: la comunione con i fratelli", ambito 1 "La ricerca del vero volto di Dio"), Sara Lorenzon (gruppo "Formazione della coscienza sociale" ambito 2 "La costruzione di una società più umana"), Carla e Mario Piazzetta (gruppo "Le relazioni in famiglie e tra le famiglie", ambito 3 "La cura delle relazioni e degli affetti") e Lina Losso (gruppo "Percorsi educativi di iniziazione cristiana" ambito 4 "L'educazione alla vita buona del vangelo").

A loro abbiamo proposto tre domande:

  1. Come ti immaginavi questo evento? Che idee ti eri fatto?
  2. È cambiata la tua opinione "in corso d'opera"?
  3. Come valuti il dibattito che si è sviluppato nel tuo gruppo? C'è un aspetto emerso nel corso del dibattito che ti ha particolarmente colpito?

 

Clima di fiducia

Don Marco Zarpellon, parroco "in solidum" di Vidor e Colbertaldo

1. «Io non mi fermerei a parlare solo della terza fase. Il Convegno è anche tutto quanto è venuto prima. Il Convegno è stato una novità per il metodo, in vista di una riflessione davvero ecclesiale, con le tre fasi durante le quali si è lavorato con pazienza, con tempi lunghi e, oserei dire, un po' più umani. E per me è stata decisiva la Fase due, mentre la Fase uno è stata importante per la verifica del cammino fin qui compiuto. Senza le precedenti, quindi, la terza fase non ci sarebbe stata, né potrebbe avere lo slancio e la forza che potrà avere stavolta. Nonostante le fatiche o le resistenze, credo che il Convegno, in sé, si possa considerare un dono Dio, con la partecipazione che è maturata in modo graduale».

2. «La mia opinione non è cambiata, perché si è respirato un clima di fiducia e un desiderio di rinnovamento, di rilancio. Ho percepito molta speranza, ma anche un bisogno di aderire alla realtà. Il tema stesso "Abita la terra..." ha acquistato più concretezza. Ricordo, invece, che al Convegno precedente a cui ho partecipato, secondo me non c'era un "senso di incarnazione" come stavolta. E si è proceduto diversamente, anche con tempi più lunghi. Mi è sembrata provvidenziale in questo senso la pubblicazione della ricerca dell'Osret triveneto. Vedendo quanto emerso da quella ricerca e vivendo il Convegno si sente il bisogno di non perdere il treno, perché è un treno quello che stiamo per prendere, e dobbiamo salirci... Non possiamo correre il rischio di non allarmarci e di perderlo... Facendo il Convegno c'era il rischio di dirci: "Siamo ancora tanti, siamo bravi". Invece dobbiamo tener conto di quei dati, che sono piuttosto "impegnativi"».

3. «Direi che è stata un'ascesi dell'ascolto. Ascoltandoci siamo giunti a conclusioni che non sono frutto dell'illuminazione di qualcuno, bensì frutto del contributo di fede e di vita di ciascuno. E questa è la "luce" che viene dall'esperienza di dibattito in gruppo, dove non c'era qualcuno che ha ragione e qualcun altro che ha torto. C'è stata, invece, vera condivisione, mettendo insieme le diverse esperienze. Abbiamo respirato un vero senso di comunione. E questa è una concretizzazione dell'immagine battesimale, in cui l'essere figli diventa segno e strumento di fraternità. Ci siamo incontrati da estranei, ma lo spirito di figli "adottivi" ci ha fatti riconoscere come fratelli e ci siamo salutati come se fossimo stati nello stesso gruppo parrocchiale da anni.

Parlando di eucaristia come fonte di fraternità, che era il tema del nostro sottoambito, tutte le parole sintetiche ci hanno portato insieme a scoprire la famiglia come "matrice" del sacramento dell'eucaristia. "Matrice", nel senso che la parola "fraternità", la parola "comunione", la parola "ascolto", sono tutte parole che noi viviamo prima di tutto, e quotidianamente, nella famiglia. C'è un legame molto forte tra il senso del vivere la famiglia e l'eucaristia come fonte e culmine di fraternità».

 

Laici più autonomi

Sara Lorenzon, di Barbisano.

1. «Sinceramente ero partita con delle speranze: quando ho sentito della convocazione del Convegno mi sono detta: "questa è la volta buona...". Tuttavia non mi immaginavo niente di particolare. La mia sola esigenza era quella di capire come si stava muovendo il "centro Diocesi", se c'era davvero la voglia di comprendere, di ascoltare. Ed ho constatato che c'è davvero. Devo dire, però, che tutte le persone che incontravo prima del Convegno erano molto più dubbiose di me, scettiche, forse frustrate per i risultati del precedente Convegno».

2. «No, come ho detto, sono stata confermata nella mia speranza. E nel corso del Convegno ho percepito nei partecipanti una consapevolezza delle difficoltà e anche una prudenza rispetto alla possibilità di lanciarsi in grandi progetti».

3. «Rispetto ai contenuti ho constatato nel gruppo la presenza di persone tutte estremamente preparate, anche dal punto di vista cristiano. Rispetto allo stile, invece, ho percepito un'autenticità nel mettere sul piatto la propria esperienza per condividere un cammino di ricerca. Io avevo partecipato anche al Convegno precedente; rispetto al '96 ho colto una diversità: una più forte consapevolezza rispetto alla vita della comunità. Inoltre c'è un livello maggiore di autonomia nei laici, che hanno espresso l'esigenza di una maggior trasparenza e comunicazione, chiedendo di poter utilizzare i nuovi mezzi di comunicazione. E questo è chiesto per vivere la comunione a un livello che vada oltre la dimensione parrocchiale. È un segnale che mi pare nuovo e quanto mai positivo.

Interessante, tra le priorità emerse, è la volontà di uno stile di riflessione e discernimento da fare insieme, superando così una certa dicotomia preti-laici. Tutta la Fase due del Convegno è stata vissuta come un'interessante novità. Ed ora viene chiesto che questa Fase due venga riproposta dopo il Convegno per una restituzione al territorio dei contenuti emersi, coinvolgendo anche quelli che non hanno partecipato.

Rispetto alla formazione della coscienza sociale è stato espresso il bisogno di ripensare, nell'ambito della formazione cristiana, la formazione della dimensione sociale, che è stata abbastanza trascurata in questi anni. C'è l'esigenza di un progetto di pastorale che valorizzi il tanto di buono che c'è: nelle esperienze di volontariato, nell'associazionismo, in tante attività pratiche di servizio che sono fondamentali, ma che forse sono state escluse in molte realtà parrocchiali».

 

A viso aperto

Carla e Mario Piazzetta di Mel

1. «Questo convegno, per noi, è stato diverso rispetto ai passati, perché l'abbiamo vissuto fin dalla prima fase; la seconda fase di discernimento ci ha calati maggiormente in quello che poi sono state le giornate vere e proprie del Convegno. Comunque avevamo immaginato un "convenire" dalle diverse zone della Diocesi di persone unite dal desiderio di scambiare e confrontare esperienze, idee, per giungere anche a delle proposte concrete che ci aiutino, per quanto riguarda le relazioni, ad accompagnare le persone, a farsi loro prossimo, che si sentano parte della famiglia di Dio, quindi testimoni d'amore e di speranza».

2. «No, anzi... è stata un'esperienza positiva. Dal punto di vista personale di relazione, una grande ricchezza e disponibilità al dialogo e al confronto. Inoltre questi eventi sono sempre occasione di crescita e di ricarica, da condividere poi nella comunità. Il dibattito è stato sicuramente positivo, i componenti del gruppo si sono subito messi in gioco col proprio vissuto, dando il loro contributo; si è creato un bel clima di ascolto reciproco, di collaborazione. Sacerdoti e laici, uniti negli intenti, seppur con le diverse ministerialità; anche i problemi che sono emersi sono stati affrontati con serenità, con il desiderio comune di trovare, non essendo possibile la soluzione, delle proposte. Oseremo dire che ci si sentiva parte attiva, viva di una Chiesa che ha voglia di camminare. Ringraziamo, per quanto vissuto, tutti i componenti del gruppo!».

3. «Ci sono diversi aspetti emersi, tutti interessanti, ma ne citiamo solo due. 1) Il valore della preghiera: quando si parla di relazioni si pensa subito a relazioni umane. Invece è stato costante, nel gruppo, il citare la preghiera come prima relazione per poi poter vivere bene le altre, come essa sia importante all'interno della vita di coppia e di famiglia, di come si senta il bisogno di pregare e non solo per noi stessi, ma per gli altri, di far conoscere di più alcuni appuntamenti di preghiera comunitaria in Diocesi. 2) Il desiderio di accogliere come comunità cristiana, le situazioni di famiglie, coppie "irregolari", con un atteggiamento non giudicante, con la consapevolezza che anch'esse fanno parte della famiglia della Chiesa».

 

Cambiare la catechesi

Lina Losso, parrocchia della Cattedrale

1. «Mi aspettavo di incontrare persone valide, preparate e animate dal desiderio di rendere la nostra Chiesa più vicina alla gente. E così è stato. Mi sono fatta questa idea leggendo le schede pervenute dai gruppi di discernimento».

2. «Il Convegno ha mantenuto le mie attese. Nel mio gruppo c'erano quattro parroci e laici che fanno tutti catechismo. In tutti ho ritrovato quel desiderio di approfondire il tema della trasmissione della fede e di progettare insieme, desidero che già avevo colto nelle schede della Fase Due. Il confronto è stato molto intenso, i delegati si sono sentiti molto implicati e coinvolti. Direi che i parroci sono stati più problematici e propositivi mentre i catechisti si sono dimostrati consapevoli che l'impianto catechistico attuale vada profondamente rivisto, perché così com'è non funziona. L'esperienza del lavorare insieme è stata buona. Ora c'è la speranza che quanto detto non resti sulla carta».

3. «Due cose sono emerse, in particolare: la percezione della necessità e urgenza di cambiare qualcosa nella catechesi; la voglia di impegnarsi per rendere la Chiesa più attenta alle persone. Parlando con gli altri animatori del mio ambito, ho capito che ci sono due esigenze che ritornano sempre quando si parla di iniziazione cristiana: la necessità di coinvolgere fortemente le famiglie e di portare l'Eucaristia al culmine del percorso dell'iniziazione».

Franco Pozzebon e Federico Citron

 

 

(da L'Azione, n. 11 dell'18/3/2012)






 
 
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