Il breve racconto che ci proponiamo di offrire ai lettori, ha come protagonista San Tiziano che fu vescovo di Oderzo tanti secoli or sono: cioè fra l'anno, circa, 610 - 632 dopo Cristo.
La diocesi di Vittorio Veneto - che fino al 1939 portava l'antico nome di Ceneda - lo venera da più di un millennio come Patrono Principale; la sua festa liturgica si celebra solennemente il 16 gennaio.
Secondo l'antica tradizione, San Tiziano, appartenente ad una facoltosa e distinta famiglia, nacque circa l'anno 555 d.C.: nell'isola di Melidissa, chiamata Eraclea dopo che l'imperatore d'Oriente Eraclio (610 – 641) vi fece costruire una piccola città.
Questo lembo di terra e di sabbia faceva parte della lingua detta “opitergina” che si estendeva lungo il litorale del mare Adriatico, tra le foci dei fiumi Piave e Livenza.
Il paesaggio e la topografia di questi luoghi, col passare dei secoli, sono mutati radicalmente. A causa dei detriti portati dai fiumi e dal prosciugamento delle paludi, l'isola di Eraclea rimase un po' alla volta interrata lasciando di sé solo il ricordo.
Nel VI secolo d.C., l'unico centro importante di tutta la zona dell'entroterra era l'antichissima città di Oderzo (Opitergium), già “Municipium” romano e sede vescovile dalla fine, forse, del IV sec. d.C.
A quei tempi, dunque, l'ampio territorio sul quale oggi si estende la nostra Diocesi era quasi disabitato.
Gli storici affermano che esisteva il “castro” fortificato di Ceneda costruito dai Romani a difesa della stretta Serravalle collegata a Oderzo con una strada: ed esisteva, forse, qualche piccolo villaggio abitato da contadini dediti alla coltivazione della poca terra non coperta da boschi e acquitrini.
San Tiziano nella sua adolescenza fu inviato ad Oderzo, dove era vescovo San Floriano che, ebbe cura di educare ed istruire il giovanetto come meglio era possibile in quei tempi.
Crescendo in età, San Tiziano sentì maturarsi in lui la vocazione al sacerdozio, sollecitato dalla sua inclinazione a mettersi al servizio della povera gente ma anche dagli esempi del suo maestro San Floriano. Questi, a tempo debito, fu ben felice di ordinarlo diacono e poi sacerdote.
In seguito, avendo dato prova di un'eccellente preparazione pastorale, a San Tiziano fu affidato l'incarico di economo e di arcidiacono della Chiesa opitergina.
Nell'esercizio di queste mansioni di fiducia, trovò una nuova occasione di esercitare la carità verso i poveri che anche in quei tempi erano molti.
Avendo San Floriano rinunciato all'episcopato, desideroso di farsi missionario tra i pagani, con la speranza, per di più, di cogliere la palma del martirio, clero e popolo opitergini non trovarono nessuna persona più degna di San Tiziano a succedergli come pastore e guida. Secondo l'antica tradizione, egli fu vescovo di Oderzo per circa 25 anno.
La vita cristiana della popolazione, nei secoli VII e VIII, era insidiata soprattutto da due gravissimi errori: la dottrina di Ario che in pratica negava la divinità di Cristo: e lo scisma da Roma detto dei Tre Capitoli, da parte di vari vescovi delle Venezie, per divergenze teologiche, disciplinari e anche politiche.
Contro questi errori San Tiziano ebbe a lottare strenuamente tanto che, come assicurano gli storici, la Diocesi di Oderzo rimase immune da cedimenti nei riguardi dell'ortodossia.
Pure la situazione civile, a quei tempi, era profondamente sconvolta dall'invasione dei Longobardi (568 d.C.) che però non occuparono subito la città di Oderzo la quale rimase ancora, per più di un secolo, caposaldo dell'impero bizantino delle Venezie.
Proprio durante l'episcopato di San Tiziano – così dicono gli storici – sarebbe avvenuto un fatto assai grave, di natura politica, per cui egli ebbe molto a soffrire.
Ecco cosa accade.
Gisulfo, duca longobardo del Friuli (a.568 – 610 d.C.), morendo lasciò in Cividale quattro figli: due adolescenti Taso e Caco, e due ancora fanciulli Radoaldo e Grimoaldo.
Quando nell'anno 610 d.C. gli Avari assalirono Cividale, i quattro ragazzi riuscirono a mettersi in salvo. Passato il pericolo, Taso e Caco, i maggiori dei fratelli, ebbero assieme il governo del Ducato. Ma i due duchi durarono poco ed ebbero una fine tragica proprio ad Oderzo.
Il patrizio ravennate Gregorio, che dimorando in Oderzo reggeva quale governatore il litorale rimasto in potere dei Bizantini, aveva promesso a Taso, con inganno e intrighi politici, di radergli la barba, com'era il costume, facendolo così suo figlio adottivo.
Ma era un tranello ed il giovane duca, per la sua inesperienza e buona fede, non se ne accorse in tempo.
Entrato Taso con il fratello Caco in Oderzo, dove era stato invitato, Gregorio chiuse le porte della città ed assalì proditoriamente i due giovani e i loro compagni che caddero dopo aver combattuto coraggiosamente.
Compiuto il delitto, Gregorio, con crudele ironia, per non venir meno alla promessa, si fece portare innanzi la testa di Taso e ne rase di sua mano la barba (a.615 d.C.).
Difficile dire tutta l'amarezza provata dal santo vescovo Tiziano, per questa strage compiuta, si può dire, sotto i suoi occhi.
Grimoaldo non dimenticò mai il delitto compiuto a Oderzo con l'uccisione di Taso e Caco, e divenuto re dei Longobardi, vendicò la terribile offesa subita dai fratelli distruggendo Oderzo dalle fondamenta (a. 665 o 668).
Secondo la tradizione, San Tiziano, ricco di virtù e meriti, circondato dalla fama di taumaturgo, morì nell'anno circa 632 d. C. il 16 gennaio.
Fu deposto in sepolcro distinto presso la chiesa della sua città, dove il popolo accorse subito numeroso a venerarlo come santo, riconoscendone i grandissimi meriti acquistati in vita e testimoniando i molti miracoli che si ottenevano per sua intercessione. Gli eracleani dal canto loro non tardarono a rivendicare le reliquie, ma invano per la strenua opposizione degli opitergini.
Concittadini e parenti di San Tiziano, venuti un giorno a Oderzo da Eraclea col pretesto di visitarne il sepolcro, calata la notte, trafugarono il suo corpo, lo misero in una barca ormeggiata nelle acque del fiume Monticano e cercarono di fuggire per raggiungere il fiume Livenza. Gli opitergini, accortisi ben presto dell'accaduto, si diedero ad inseguire i rapinatori e li raggiunsero nelle vicinanze del castello di Motta, dove il Monticano confluisce nel Livenza. A questo punto entra in campo una bella leggenda tanto cara al popolo devoto di San Tiziano, e illustrata dal pittore Pomponio Amalteo in cinque splendide tavole (1530) conservate nel museo Diocesano d'Arte Sacra.
È bene tenere presente che non sempre la leggenda è solo frutto di fervida fantasia. Spesso riveste e infiora a sgargianti colori dei fatti realmente accaduti e che al lettore attento spetta riscoprire. Ecco dunque cosa si racconta:
Sulle sponde dunque del Livenza,opitergini ed eracleani si trovarono gli uni contro gli altri armati. Quando già stavano per azzuffarsi, comparve loro un vecchio misterioso che li esortò a non ricorrere alla violenza ma a lasciare piuttosto il corpo del Santo nella barca, pregando Dio affinché indicasse dove voleva che fosse portato. Poi, il vecchio disparve. La barca allora, con meraviglia di tutti, cominciò a risalire il Livenza fino ad una località detta Settimo (Portobuffolè) dove si fermò, incominciando qui il fiume ad essere poco navigabile. Il corpo fu allora deposto sulla sponda del fiume e quindi caricato su un carro trinato da buoi, avendo in animo gli opitergini di riporre il Santo nella loro città. Ma i buoi non riuscivano a smuovere il carro.
Riapparve il vecchio misterioso che esortò tutti a pregare ancora il Signore, perché facesse conoscere il suo divino oracolo.
Dopo un digiuno di tre giorni, una buona vedova del luogo fu mossa da una divina rivelazione ad attaccare a un carro la mucca ed il vitello che possedeva, poi a collocarvi sopra il corpo di San Tiziano e lasciare quindi che i due animali trainassero il carro per la strada voluta dal Signore. Fu così che quegli animali, fra lo stupore, le preghiere e le ovazioni della gente che intanto accorreva sempre più numerosa ad accompagnare il Santo, si diressero verso le amene colline dove sorgeva Ceneda.
Secondo la leggenda, alle porte della città San Tiziano compì un grande miracolo, risanando all'improvviso una giovane donna da molto tempo gravemente ammalata.
Il corpo del Santo fra l'entusiasmo di tutto un popolo fu, con tutti gli onori, collocato a Ceneda nell'antica chiesa dedicata alla Madonna Assunta.
Questi fatti sarebbero avvenuti nell'anno 652 d.C. circa, un decennio dopo la conquista di Oderzo (639 – 640) da parte di Rotari, re dei Longobardi.
Dicono gli storici locali che l'importante evento della traslazione a Ceneda del corpo di San Tiziano fu provvidenziale perché, nell'anno 665 o 668, Grimoaldo re dei Longobardi, come abbiamo già detto, distrusse Oderzo dalle fondamenta; le Reliquie del Santo sarebbero quindi andate perdute se fossero rimaste nel loro primitivo sepolcro. Gli studiosi moderni hanno cercato di scoprire nella tradizione antica e nella leggenda ciò che è realmente accaduto. Secondo le loro conclusioni i fatti si sarebbero svolti nel modo che segue.
Poco prima che Rotari occupasse Oderzo, il vescovo San Magno e una parte della popolazione di erano già messi in salvo nelle isole dell'estuario veneto.
In tutto quello che era stato l'agro opitergino, al governo bizantino era subentrato quello longobardo.
I Longobardi, fin dalla loro discesa nelle Venezie, avevano già provveduto ad attivare nelle nostre terre l'amministrazione civile creando, nel 568 d.C., il Ducato di Ceneda. Più tardi diedero anche vita ad una nuova sede vescovile a Ceneda (fine sec. VII o inizio sec. VIII) per colmare il vuoto che, nel campo religioso, il vescovo San Magno aveva lasciato quando, abbandonata Oderzo, si era rifugiato nella laguna opitergina. Per convalidare tale loro decisione, i Longobardi provvidero a trasportare a Ceneda il corpo di San Tiziano già riconosciuto come patrono a cui erano legati, secondo la concezione di quei tempi, tradizione, diritti e privilegi dell'antica sede opitergina.
I documenti che parlano del culto a lui tributato iniziano poco tempo dopo la sua morte.
Una recente ed aggiornata pubblicazione riporta l'iconografia, forse completa, di San Tiziano, raccolta nei luoghi dove è vivo il suo culto.
In suo onore esistono chiese, oratori, capitelli un po' ovunque, non solo nella nostra Diocesi ma anche in quella di Venezia, Treviso e Belluno.
mons. Rino Bechevolo