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pubblicato luned́ 12 marzo 2012
La visione era esaltante. La sera di venerdì 2 marzo la palestra del collegio San Giuseppe di Vittorio Veneto si era completamente riempita: mille seduti sulle poltroncine e tanti altri accovacciati in ogni angolo. Era l'apertura dell'ultima fase del Convegno. Tutti raccolti in preghiera all'inizio e poi tesi per un'ora nell'ascolto di fratel Enzo Bianchi. «Mi sono commossa - ha pubblicamente ammesso una partecipante all'apertura del dibattito - nel vedere questa gente: è la nostra Chiesa, la Chiesa che da qui deve ripartire». Ripartire verso dove? Non illudiamoci con ritorni di un passato ormai definitivamente perduto. I numeri sono sotto i nostri occhi, forniti dall'inchiesta sulla religiosità nelle terre venete, appena presentata in vista del convegno Aquileia 2. Sono numeri impietosi. Soprattutto per quanto riguarda i giovani. Soltanto il 19% della popolazione si dichiara cristiano convinto, ma tra i giovani la percentuale scende al 6,6%. E il 28,2% si dichiara estraneo ad ogni religione. La palestra gremita di venerdì scorso era uno spettacolo entusiasmante, ma non deve nasconderci la realtà. Al di là di quelle persone ci sono le nostre comunità che languono. Hanno impennate di religiosità per quanto riguarda il battesimo e gli altri sacramenti iniziali, ma è una religiosità che risente ancora della pressione sociale. Stiamo avanzando velocemente verso l'esaurimento di questa religiosità residuale. Non dobbiamo illuderci, ma nemmeno disperare o deprimerci
Quello che dobbiamo fare è chiederci che cosa il Signore chiede a noi, al migliaio e più di persone presenti venerdì scorso, oggi, in questa situazione. Fratel Enzo ha risposto dicendo che, innanzitutto, noi coinvolti in questo convegno, dobbiamo ricuperare la nostra identità. Siamo credenti in Dio, ma in Dio così come ce lo ha spiegato Gesù. Dio che chiede la totale fiducia in lui perché ha totale fiducia in noi. Il priore di Bose ha ritoccato anche il titolo del nostro convegno: abita la terra e "nutriti" di fede, ha detto. La fede prima di essere un dono che ci viene dall'alto, è la sostanza delle relazioni umane: è la fiducia reciproca. Senza fiducia reciproca la vita deperisce. Oggi scarseggia. Ognuno diffida dell'altro e diffida della vita per cui cerca di costruirsi un mondo sicuro solo per sé. Gesù, invece, si mostra come una persona che innanzitutto dà fiducia e chiede fiducia. Partendo da questa fiducia umana ci svela il volto di Dio nostro Padre. Nutriti di questa fede, dobbiamo abitare la terra suscitando fiducia: fiducia gli uni negli altri, nella vita, nelle istituzioni che faticosamente dobbiamo costruire insieme. Questo è un primo compito che il Padre ci chiede in quanto credenti in Gesù.
Oggi si parla molto di evangelizzazione, nuova evangelizzazione, primo annuncio eccetera. «È diventata - ha affermato fratel Enzo - quasi un'ossessione. Ma prima di evangelizzare gli altri dobbiamo preoccuparci di evangelizzare noi stessi, di lasciarci compenetrare dal vangelo». Altrimenti la nuova evangelizzazione si esaurisce in una operazione di rilancio pubblicitario della nostra fede, con immagini e parole nuove e nient'altro. Una delle tante operazioni di marketing a cui siamo abituati. La generale indifferenza religiosa si vince mostrando la nostra "differenza", che non sta in alcuni segni rituali o in alcune parole, ma nella vita. Una vita che si fida totalmente di Dio e che si dona agli altri. Gesù ci ha dato il comandamento nuovo, il comandamento dell'amore. Nuovo non significa che prima non c'era o che solo i cristiani sanno amare. Ci sono esempi eccelsi di amore anche in chi non crede. È nuovo nel senso di ultimo, di definitivo. Non dobbiamo cercare altro. La differenza che scuote l'indifferenza è un amore vero. Non l'amore virtuale, quello degli sms per i disgraziati di turno, ma un amore di presenza. Stare accanto a chi si trova nel bisogno, parlando, condividendo. Ma anche essere presenti nei luoghi dove si costruisce la vita comune, per quanto privi di umanità possano sembrarci. Cittadini con i cittadini, senza pretese di avere le formule risolutive, ma armati di fiducia, di speranza e di amore.
Il nostro compito di credenti dentro a questo mondo non è finito, ma per svolgerlo dobbiamo rincentrare la nostra identità sul vangelo di Gesù.
don Gian Pietro Moret
(da L'Azione, dell'11/3/2012)