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pubblicato lunedì 29 ottobre 2007
Realizzare in tutte le parrocchie un museo come quello che hanno fatto a Oderzo, onestamente è chiedere troppo. Ma ritagliare uno spazio adeguato e sicuro, in cui conservare dignitosamente i beni storico-artistici di proprietà della parrocchia, è non solo auspicabile ma doveroso. Perché quei beni sono patrimonio dell'intera comunità, frutto della generosità e dell'ingegno degli avi. E perderli per negligenza, ignavia o disinteresse, è una scelleratezza.
Potete non crederci, ma ancor oggi, anno del Signore 2007, capita di ritrovare nelle soffitte delle canoniche, nei meandri delle sacrestie, negli interstizi dei campanili, pezzi di grande valore. Così è accaduto a monsignor Piersante Dametto quando giunse al Duomo di Oderzo. In soffitta rinvenne - coperti di polvere - quadri, candelabri, reliquiari e addirittura un Crocifisso attribuito alla scuola Brustolon. «Davanti a questa scena mi è venuta l'idea di raccogliere in un museo le opere d'arte della parrocchia - spiega monsignor Dametto -. Ho interessato alcuni professionisti, la Soprintendenza e l'Ufficio diocesano per l'arte sacra e i beni culturali».
E così è cominciato il percorso che ha portato al museo parrocchiale. La prima tappa è stata la catalogazione informatizzata praticamente di tutte le opere di proprietà del Duomo. «Per ogni bene, compresi quelli esposti in chiesa, è stata predisposta una scheda con la foto e alcune notizie storiche e artistiche». Schede che si sono rivelate provvidenziali quando venne rubato il frontespizio di un'urna dorata. «Portai subito la foto ai carabinieri - racconta don Piersante -. Due anni dopo mi telefonarono dalla Questura di Padova dicendomi che il frontespizio era stato ritrovato in mezzo alla spazzatura».
Mentre le opere venivano catalogate dagli esperti dell'Uffic io arte sacra, gli architetti Cesare e Cristina Vendrame procedevano con il progetto del museo da allestirsi al pianterreno delle "sale del campanile", cioè l'edificio che si trova di fronte alla canonica. Nell'allestimento non è stato adottato semplicemente un criterio estetico, perché un museo ecclesiastico costituisce anche una forma di riappropriazione del cammino di fede da parte della comunità. Ed è un luogo di apprezzamento del bello ma anche di catechesi.
Il lavoro è arrivato al traguardo lo scorso 31 marzo. Con grande soddisfazione di monsignor Dametto. «La popolazione sta dimostrando grande interesse e affetto per il museo. Sono convinto che ogni parrocchia dovrebbe dotarsi di un luogo idoneo dove conservare il proprio patrimonio. Se non si provvede in questo senso i beni ecclesiastici - soprattutto candelieri, navicelle, croci a stile - saranno sempre soggetti a un duplice rischio: il furto e la perdita. Quest'ultima determinata spesso dalla trascuratezza, perché non si è valutato adeguatamente il valore dell'opera».
Federico Citron
(da L'Azione, n. 44 del 28/10/2007)