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pubblicato giovedì 24 febbraio 2011
C'è davvero bisogno di dialogo con gli ebrei? Molti se lo domandano. La storia dei nostri rapporti con loro è stata sovente una storia di reciproche accuse, di lacrime e sangue. Poi, la tragedia della shoah ha come scosso il mondo cristiano e ha di nuovo posto il problema del rapporto reciproco. Il Concilio e più recentemente il Giubileo del 2000 hanno accelerato i tempi e le cose hanno ripreso a camminare con una nuova coscienza. Oggi non è difficile veder nascere iniziative comuni di collaborazione: si vuol ripercorrere la storia recente, ad esempio, ma anche conoscere la letteratura, il canto, l'esegesi ebraica e altro ancora.
Anche la teologia è chiamata a comprendere Israele alla luce della sacra Scrittura. Padre Pierbattista Pizzaballa ha voluto richiamare, nel suo intervento di domenica 30 gennaio a Portobuffolè, la visione di San Paolo sul "mistero di Israele". L'apostolo mostra il suo popolo come oggetto di una gratuita elezione divina, scelto per stabilire l'alleanza tra Dio e il genere umano e destinatario di promesse indefettibili. Dall'altro lato, Israele ha rifiutato il compimento dell'alleanza in Cristo; ma con questo ha aperto le porte all'evangelizzazione di tutti i popoli, attuando il carattere universale dell'alleanza. E se il rifiuto è stato così benefico, cosa sarà un giorno la loro accoglienza di Cristo? Perciò il mistero della presenza di Israele nel mondo permane, concludeva padre Pizzaballa, e si svelerà solo alla fine della storia: l'incontro tra la Chiesa e Israele non è che agli inizi.
Da qualche anno a Portobuffolè si tengono iniziative di dialogo cristiano-ebraico. Sono note le ragioni storiche: una convivenza che per secoli era stata non facile, ma comunque possibile sia in Italia che nel resto d'Europa, alla fine del Medioevo subisce una diffusa crisi, praticamente in tutto l'Occidente, con l'esclusione degli ebrei dalla vita civile. Nascono i ghetti in molte città europee, si moltiplicano le cacciate di comunità ebraiche in un clima di accuse infamanti, di sospetti, processi e condanne. La pratica dell'usura rende invisi e insieme necessari gli ebrei, ed ecco spuntare contro di loro i primi fondatori dei Monti di Pietà. I figli di Israele sono costretti allora ad emigrare verso oriente, in territori non più controllati dall'impero cristiano bizantino ormai caduto. Tra questi vi fu anche la comunità cacciata nel 1480 da Portobuffolè.
Ma quello che oggi noi cristiani diciamo pensando all'esodo delle nostre comunità dai paesi del Medio Oriente - che cioè questo esodo comporta un impoverimento anche di quelle società che lo sospingono o non lo frenano, che rimangono società chiuse autoritarie e instabili - si può dire anche dell'esodo ebraico dall'Occidente moderno. Essi erano certamente portatori di valori inestimabili, e proprio per i cristiani: la fede nel Dio di Abramo e le sacre Scritture. Certo, in fatto di libertà religiosa allora si ragionava diversamente da oggi: si riteneva di raggiungere l'unità politica di un paese soprattutto con la religione e usando ogni mezzo. Oggi nessuno può pensare che la libertà delle coscienze si possa violare o forzare per nessun motivo: Dio stesso ne è il custode. La storia qui ci ha insegnato qualcosa. Ma è sulla fede comune che è più interessante dialogare, come l'altra domenica è avvenuto a Portobuffolè con il contributo non solo di padre Pizzaballa, ma anche di monsignor Ravignani e monsignor Pizziolo, presenti all'incontro insieme al cantore di sinagoga Angel Harkatz.
Le vicende storiche prima ricordate hanno infatti contribuito ad allontanarci dall'ebraismo, a non vedere più che non si tratta di una religione tra le altre, nel panorama delle religioni non cristiane. "Noi siamo spiritualmente semiti", ha detto un Papa del secolo scorso. Non chiamiamo gli ebrei tanto "fratelli maggiori" quanto "padri nella fede", seguendo uno spunto di Benedetto XVI ripreso da monsignor Ravignani. Come l'olivo selvatico, noi portiamo frutto buono solo perché innestati nella buona radice, la discendenza di Abramo. E come i Magi giunsero a Betlemme guidati dalla stella di Giacobbe, anche noi siamo giunti alle sacre Scritture ammaestrati dai figli del grande patriarca, per conoscere i disegni misericordiosi del Signore preparati per tutti gli uomini. Ha senso allora pregare per la conversione degli ebrei? La domanda, ricordata da monsignor Pizziolo, è ricorrente oggi. E la risposta è sì: perché esprime una piena coscienza della fede cristiana e insieme vera stima dell'altro, al quale si intende dare ciò che si ha di più caro.
don Giorgio Maschio
(da L'Azione, n. 7 del 20/2/2011)