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pubblicato giovedì 15 novembre 2007
L'ufficio liturgico diocesano propone alcune riflessioni e indicazioni pastorali in vista dell'entrata in vigore del Motu Proprio di Benedetto XVI, "Summorum Pontificum".
Come già sappiamo, dal prossimo 14 settembre, Festa dell'Esaltazione della S. Croce, sarà possibile celebrare la liturgia - in "forma straordinaria" - con il rituale precedente il Concilio Vaticano II, superando le disposizioni passate che lasciavano al vescovo diocesano tale possibilità di un "indulto", cioè un'eccezione. Vediamo ora le principali novità previste nel Motu Proprio (che significa "di propria iniziativa") di Benedetto XVI, "Summorum Pontificum", per fare poi qualche riflessione e dare alcune indicazioni pastorali.
1. Per prima cosa il Papa ricorda di essere stato spinto a questa decisione dalla preoccupazione per l'unità della Chiesa: un impegno che rientra nella sua missione apostolica e che deve stare a cuore a ogni cristiano. Nel Motu Proprio, poi, afferma: "Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è l'espressione ordinaria della ‘lex orandi' (la legge della preghiera) della Chiesa cattolica di rito latino". Quest'affermazione ribadisce che la liturgia riformata da Paolo VI nel Concilio Vaticano II è la norma ordinaria della fede e della preghiera della Chiesa di oggi.
2. Il Papa, però, afferma anche (e questa è una novità nella storia della liturgia!) che c'è pure una forma "straordinaria" con cui è possibile celebrare il rito romano: il Messale di papa Giovanni XXIII del 1962. Egli quindi precisa: "si può" usare di quel Messale e del vecchio breviario; "si possono" celebrare con i precedenti rituali gli altri sacramenti (battesimo, cresima, matrimonio e unzione degli infermi) e le esequie; anche le comunit&ag rave; religiose "possono" usufruirne, a certe condizioni. Non dice: "si deve", ma "si può"!
3. Il vescovo resta colui che regola la vita della sua Chiesa anche nella liturgia. Egli, infatti, è il moderatore della liturgia nella propria diocesi (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 22). A lui ogni problema viene presentato per poi essere, eventualmente, demandato alla competente Commissione romana, qualora, come ricorda il Motu Proprio, si trovasse nell'impossibilità di provvedere alle richieste dei fedeli aderenti alla precedente forma liturgica (art. 7 e 8). Il vescovo, infine, in base al can. 518 del Codice di Diritto Canonico, può anche erigere una parrocchia con un presbitero appositamente incaricato di celebrarvi con il rituale del 1962. Infine dopo tre anni di sperimentazione il Papa si riserva di fare una verifica.
Anzitutto la questione del latino: non è assolutamente vero che ora torna il latino nella liturgia perché esso non è mai stato abolito! Sempre si può celebrare e cantare in latino, la lingua ufficiale della liturgia. Il Messale di Paolo VI, così come ogni libro liturgico nel Rito romano, viene sempre anzitutto redatto nella sua forma originaria in latino, poi ogni Conferenza episcopale lo traduce adattandolo alla propria realtà locale. In latino, tuttavia, oggi si continua a celebrare sempre nelle assemblee internazionali, in latino ci sono molti canti e inni che restano patrimonio liturgico fondamentale della Chiesa, ma sempre in armonia con i criteri della riforma liturgica che prevede il canto come "parte necessaria e integrante della liturgia" (SC, 112) favorendo così in tutta l'assemblea la sua attiva partecipazione.
La liturgia è "azione di popolo". A chi poi obbietta che solo il latino &egrav e; capace di trasmettere la ricchezza della liturgia e il suo "mistero", va ricordato - e questa è una nozione elementare in storia liturgica - che la parola "liturgia" nella lingua originale, il greco, significa "azione di popolo"! È un grave errore teologico, oltre che storico, ridurre la liturgia a una questione culturale, per cultori di antichità classiche e, tanto meno, ad archeologismo: la liturgia non è un museo che conserva vecchi ricordi, essa è per sua natura azione comunitaria qui e ora! Questa fu la grande riscoperta del Movimento liturgico sviluppatosi a metà del 1800 e confluito poi nel Concilio Vaticano II. Il concetto di "partecipazione piena, attiva e consapevole" alla liturgia da parte dei fedeli, così come l'ha intesa la riforma conciliare, non è un "optional", ma è "ontologicamente costitutivo" della liturgia stessa, nasce con essa fin dall'inizio, addirittura fin dal culto ebraico: diversamente facciamo altro, non liturgia! Ricordiamo la preoccupazione dei Padri conciliari a questo riguardo: "La Chiesa volge attente premure affinché i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma, comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino all'azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente" (Sacr. Conc. 48). Riguardo poi al "senso del mistero" nella liturgia, va ricordato che se oggi c'è chi non sempre avverte in essa questa dimensione "misterica" - non misteriosa - (cioè Dio che si rivela a noi), non è colpa della Riforma liturgica, ma di noi ministri ordinati che non sempre celebriamo con dignità e consapevolezza (quanti hanno letto le preziose introduzioni teologiche ai libri liturgici preparate da eminenti studiosi nel post-Concilio?). È colpa, però, anche di molti laici che hanno inteso e intendono la liturgia solo come occasione di "socializzazione", come se fosse un incontro semplicemente umano dove si può fare "di tutto e di più". Il Mistero di Dio è insito nella liturgia e va sicuramente rispettato, ma è proprio la forma rinnovata del Concilio Vaticano II che ha inteso riportarlo nella sua giusta dimensione.
La Tradizione dimenticata! A questo riguardo, storicamente, ci sarebbero molte cose da dire che qui, per motivi di spazio, non è possibile riportare. Bastino due cose. Primo: il Messale romano attuale conserva per la maggior parte testi tratti dagli antichi Sacramentari che risalgono ai papi san Leone Magno, Gelasio e san Gregorio Magno (sec. VI-VIII), oltre ad altri di nuova composizione (perché lo Spirito Santo c'è anche oggi!), ma in minor numero. Secondo: la Tradizione è stata modificata, sì, ma dopo il Concilio di Trento (1545) non con Paolo VI, perché allora, per la prima volta nella storia della liturgia, si impose, per diversi motivi, a tutte le Chiese l'unico Rito Romano e i libri liturgici cominciarono ad essere pubblicati sempre con la dicitura: "per ordine del Romano Pontefice". Fino ad allora, infatti, nella Chiesa sussistevano nelle diverse zone d'Europa più messali contenenti sia la ricchezza della liturgia romana, sia elementi locali per i quali non si sentiva il bisogno di chiedere approvazioni. Non c'è mai stata, quindi, una forma ordinaria e una straordinaria nel Rito romano, ma compresenza in Europa di diversi riti e libri liturgici "locali", legati cioè o ad una particolare "famiglia liturgica" di un dato territorio o ad un Ordine religioso. Tutto questo era una ricchezza! Di questa varietà oggi è rimasto, nella Chiesa latina, solo il Rito Ambrosiano. È ideologico appellarsi quindi ad abusi e ad alcune superficialità verificatesi purtroppo nell'imme diato post-Concilio nell'applicare la Riforma liturgica, o accusare di eresia chi allora guidava la Chiesa!
1. La Riforma liturgica non è in discussione. Il documento papale, in pratica, nelle nostre comunità non cambia la normale vita liturgica riguardo la sua dimensione di "partecipazione attiva", ma concede ad alcuni gruppi di fedeli la possibilità di celebrare nella forma preconciliare. Questo non significa, però, diminuire l'impegno nella cura delle celebrazioni liturgiche, o nella promozione della ministerialità laicale, nella formazione dei lettori e degli animatori liturgici, o nella cura del canto liturgico. Anzi, proprio continuando in questa direzione si è veramente fedeli all'autentica Tradizione della Chiesa.
2. Cosa accade utilizzando il Messale del 1962? In questo Messale si ricordi che c'è un diverso calendario liturgico, mancano l'abbondanza dei testi biblici e i ministeri mentre il canto non viene più considerato nella sua piena espressione di partecipazione di tutta l'assemblea.
3. Nelle parrocchie come ci si regola di fronte ad una richiesta? La liturgia con il Messale preconciliare, può essere richiesta là dove "esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica" (art. 5, 1). Nessuno, sia singolo, sia comunità, è "obbligato", quindi, a celebrare così: è solo una possibilità. Ottenuta la richiesta, si seguono le indicazioni del Motu Proprio (reperibile in ogni libreria cattolica nonché in internet) utilizzando esclusivamente il Messale del 1962. Ogni richiesta, tuttavia, "si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia, sotto la guida del vescovo, evitando la discordia e favorendo l'unità di tutta la Chiesa" (MP art. 5, 1).
4. Per ogni chiarimento, dopo il parroco o il superiore di una comunità religiosa, ci si rivolge sempre al vescovo, come ricordato sopra al punto n. I/3.
don Adriano Dall'Asta
(da L'Azione, del 22/7/2007)