15:00: Corso di aggiornamento IRC: La sfida della cittadinanza mondiale solidale
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pubblicato venerdì 14 maggio 2010
Conegliano, 12 febbraio 2010
Siamo nella terra di Giuseppe Toniolo e mi pare doveroso e utile aprire con una citazione dalle sue opere: "Il concetto essenziale e più ampio di democrazia è pur sempre quello di una cospirazione di forze sociali, giuridiche ed economiche particolarmente rivolte a proteggere, rispettare, elevare il popolo. Altri concetti accidentali e più ristretti, per esempio quello stesso politico, ne sono una semplice conseguenza razionale e storica. Affrancato, onorato, elevato, educato il popolo, è naturale che presto o tardi, anche politicamente il popolo acquisti importanza e trovi il suo posto nel governo, sino ad affrettare, se si voglia, in certi casi, un tipo di governo repubblicano. Ma questa democrazia politica in tal senso è una conseguenza di quella sociale, giuridica, ed economica, e non viceversa.
Ciò posto, ne deriva che la democrazia, nel suo senso principale ed essenziale, deve essere accettata necessariamente da tutti i cattolici, perché sgorga dall'essenza del Vangelo e rimane così un argomento di concordia: mentre la democrazia nel senso secondario e accidentale, cioè politico, può essere lecitamente propugnata senza che possa diventare ragionevolmente fra i cattolici un argomento di discordia".
(1897, GiuseppeToniolo "Democrazia Cristiana - Concetti e indirizzi" - Vaticano 1949 - pag. 52)
A queste parole del Servo di Dio, certamente datate, ma nella loro essenzialità ancora oggi valide, fanno eco le parole del Concilio Vaticano II:
"Il bene comune della società si concreta nell'insieme delle condizioni sociali, grazie alle quali gli uomini possono perseguire il loro perfezionamento più riccamente e con maggiore speditezza, nell'esercizio dei diritti della persona umana e nell'adempimento di rispettivi doveri." (Concilio, Dignitatis Humanae, n. 6)
La comunità politica esiste in funzione di quel bene comune nel quale essa trova significato e piena giustificazione e dal quale ricava il suo ordinamento giuridico originario e proprio.
Ma nella comunità politica si riuniscono insieme uomini numerosi e differenti, che legittimamente possono indirizzarsi verso decisioni diverse. Affinché la comunità politica non venga rovinata dal divergere di ciascuno verso la propria origine, è necessaria una forza morale capace di dirigere le energie di tutti i cittadini verso il bene comune, non in forma meccanica e dispotica, ma nella libertà e nella coscienza del dovere e del compito assunto" (Concilio,Gaudium et Spes, nn. 73-74)
Occorrono strutture che sempre meglio sappiano offrire a tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione, la possibilità effettiva di partecipare liberamente e attivamente sia alla elaborazione dei fondamenti giuridici della comunità politica, sia alla determinazione del campo d'azione e dei limiti dei differenti organismi.
Da queste citazioni emergono due importanti sollecitazioni:
1) Il primato della democrazia sociale su quella politica: per costruire una solida democrazia occorre attivare "una cospirazione di tutte le forze sociali, giuridiche ed economiche rivolte a proteggere, rispettare, elevare il popolo". Occorre una forza morale capace di dirigere.
2) Strutture che stimolino la partecipazione: occorre creare le condizioni sociali grazie alle quali gli uomini possano perseguire il loro perfezionamento più riccamente e in maggiore speditezza, nell'esercizio della persona umana.
Da questi due principi si deduce:
3) È necessaria una forza morale capace di dirigere le energie di tutti i cittadini verso il bene comune.
Ecco allora i problemi che emergono oggi, come altrettante sfide:
1) Quale forza morale può oggi attivare questa cospirazione e convogliare le energie di tutti verso il bene comune pur nella pluralità degli orientamenti culturali e politici?:
2) Dove e come costruire nuovi spazi di confronto, di dibattito, di verifica, dove le diversità diventino ricchezza per l'individuazione del bene comune, nella sua concretezza storica, culturale sociale e politica?
Ma per non allargare troppo il discorso, fermiamoci al tema specifico di questo incontro.
- La Chiesa che cosa può e che cosa deve fare in questo contesto per fare della democrazia una autentica sfida alla sua missione.
- I documenti della Dottrina Sociale della Chiesa e gli interventi più significativi dei diversi Pontefici sull'argomento hanno sempre sottolineato l'indifferenza della Chiesa, davanti alle diverse strutture politiche.
Il Cristianesimo è un messaggio che trascende la politicità, essenzialmente legata al tempo.
- Ma tutto questo è vero solo in parte o, per lo meno, deve essere ben precisato.
È indubbio che gli aspetti tecnico-politici sono indifferenti per le finalità della Chiesa. Ci sono però nella politicità degli aspetti sostanziali (di fondo) dinanzi ai quali la Chiesa non può assolutamente essere indifferente, che sono i diritti essenziali della persona umana, della famiglia e della libertà religiosa.
Oggi si parla di promozione e di difesa di valori non negoziabili, che costituiscono gli elementi irrinunciabili di un'etica sociale e politica.
- Ma come difendere questi valori assoluti, nella contemporanea difesa dell'autonomia del temporale, del profano, del politico?
Nutrire l'ambizione di costruire un blocco monolitico capace di condizionare le scelte politiche in ordine a questi principi, significa mettere in crisi la stessa democrazia e le sue leggi che si fondano sul pluralismo ideologico e sul dialogo delle diverse concezioni politiche emergenti dalla libera discussione e diffusione delle idee e il libero costituirsi dei partiti.
- Questa mi sembra la sfida della democrazia alla Chiesa.
Se nel campo dell'etica cattolica vi sono principi e valori non negoziabili, quando ci spostiamo nella sfera politico-democratica molti di questi valori diventano necessariamente negoziabili, perché devono passare al vaglio del pluralismo e hanno bisogno di essere assunti come valori nel gioco politico della maggioranza e della minoranza.
Se non ci sono i voti in Parlamento questi valori non possono diventare patrimonio dello Stato laico.
Ma prima che il confronto sui valori arrivi in parlamento e si trasformi in disegni di legge, occorre far maturare le condizioni di un dibattito e di una partecipazione il più possibile diffusa, affinché il pluralismo si estenda agli enti sociali (famiglia-professioni-aziende-sindacati-movimenti di opinione) e diventi rappresentativo di ciò che effettivamente vive e pensa il popolo come soggetto primario e inalienabile di una autentica democrazia partecipata.
Il regime democratico non è un regime facile: esso esige dalla classe politica intelligenza, consapevolezza, rigore ma soprattutto capacità di ascolto, di dialogo, di integrazione, con i cittadini di cui i governanti sono rappresentanti.
- Allora come la Chiesa può accogliere la sfida della democrazia e come la fede può dare risposte valide per la sua promozione e il suo consolidamento?
Queste le scelte che la Chiesa, come popolo di Dio, può realizzare per mettere il suo carisma a servizio della democrazia.
Ripercorrendo le diverse tappe di questa riflessione e dei pronunciamenti dei Papi, emerge sempre più chiaro e completo il quadro del pensiero della Chiesa nelle questioni che riguardano l'uomo, la società civile, la politica, le problematiche sociali legate al lavoro, alla famiglia, il bene comune e la democrazia come strumento di corresponsabilità e di condivisione.
Cito soltanto il magistero degli ultimi papi: di Giovanni XXIII con la Mater et Magistra del 1961 e la Pacem in terris del 1963.
Gli interventi di Paolo VI con la Populorum Progressio del 1967 e la Octogesima Adveniens nell'80° della Rerum Novarum di Leone XIII.
Ricco il messaggio di Giovanni Paolo II con la prima enciclica Redemptor Hominis per continuare poi con la Laborem Exercens dell'81, la Familiaris Consortio, la Sollecitudo Rei Socialis e la Centesimus Annus.
Per arrivare all'ultimo documento di Benedetto XVI la Caritas in Veritate dove - al n. 57 - si affronta il tema della democrazia sotto il profilo del principio di sussidiarietà - come espressione di libertà - , di partecipazione e di assunzione di responsabilità nella reciprocità e nella pluralità di soggetti chiamati in causa.
Solidarietà e interdipendenza dei diversi soggetti sociali per evitare derive paternalistiche e autoritarie come pericoli sempre incombenti nel panorama politico attuale.
Sarebbe troppo lungo e impegnativo in questa sede, anche se opportuno, scorrere queste encicliche per cogliere la molteplicità e l'attualità degli argomenti trattati in una pluralità di voci, di sensibilità, di condizioni culturali e storiche che ogni Papa ha affrontato con coraggio e lucidità intellettuale.
La Chiesa è presentata sempre come "esperta in umanità", non per offrire soluzioni tecniche alla politica, ma indicazioni morali per affrontare i problemi sociali.
C'è un costante richiamo alla responsabilità dello Stato nei confronti dell'economia, del lavoro, della famiglia, della pace, della solidarietà, all'attenzione alle sperequazioni, all'uso dei beni di consumo senza sprechi e con una attenzione particolare alla giustizia sociale, sempre facendo riferimento al dato fondante di ogni problematica: l'impegno e la promozione dei diritti dell'uomo, in una visione antropologica che mette al centro la persona, come la si conosce dalla Rivelazione .
E questi messaggi non sono mai inviati soltanto ai credenti, ma a tutti gli uomini di buona volontà e a tutti i gruppi di aggregazione che hanno una specifica responsabilità nel campo politico, economico e sociale.
Purtroppo queste provocazioni rimangono spesso inascoltate e addirittura combattute da un pregiudizio insanabile.
Il cristiano e la Chiesa devono essere intransigenti in tutto ciò che concerne la verità della fede, la legge morale, il rispetto del Magistero, senza ambiguità, senza tiepidezza, senza compromessi.
Intransigenza che nasce dalla unione della Chiesa nella difesa e nella proclamazione del deposito rivelato, che è l'unica verità sull'uomo, sulla storia e sul destino dell'umanità.
Ma questa intolleranza di fronte a coloro che non condividono il suo messaggio, deve lasciare spazio alla tolleranza quando dalla enunciazione dei principi si passa al dialogo, all'ascolto, alla comprensione, all'accoglienza nei confronti di coloro che sono di diversa opinione.
Nello stato laico occorre convivere con posizioni ideologiche diverse, le quali non accettando i postulati dell'etica cattolica, non possono essere costretti, da manovre politiche improprie, ad aderire a determinate concezioni filosofiche o religiose.
La Chiesa non può arroccarsi in posizioni conflittuali nei confronti dello Stato democratico condannando soltanto e prendendo le distanze dalla società civile. Pur rimanendo ferma nella difesa della verità rivelata deve sempre più incarnarsi nelle vicende della storia, senza reprimere, ma cercando l'anima di verità che è comunque presente nel cuore e nella vita di ogni uomo.
Non chiusura, ma apertura di mente e di cuore portando con umiltà e chiarezza il Vangelo dentro la complessità di un pluralismo filosofico, religioso e politico.
La Chiesa non è una società democratica, dove vige la legge della rappresentatività, del voto elettivo, del confronto tra maggioranza e minoranza, ma è un popolo, dove l'appartenenza, la condivisione, la pluralità dei carismi, la forza liberante dello Spirito sono elementi di riferimento anche per la società democratica.
Lo spirito di servizio e non di potere, la valorizzazione della soggettività personale, la reciprocità, la fraternità, la convivialità sono altrettante provocazioni per la democrazia partecipata.
Il farsi prossimo, nell'attenzione privilegiata ai poveri e ai deboli. La lotta contro ogni forma di discriminazione, di xenofobia, di emarginazione, le opere della carità in campo assistenziale, sanitario, educativo.
Qualche volta si può avere l'impressione che la Chiesa nutra più simpatie per i governi conservatori che spesso appaiono i difensori dei valori cristiani nella politica.
I cosiddetti laici cristiani atei devoti o teo-com sembrano più inclini e obbedienti ai dettati della morale cattolica.
C'è forse dietro questa predilezione una larvata reminiscenza di uno stato etico e clericale.
Oggi più che mai si sente il bisogno di promuovere una autentica e vera laicità, una fonte di democrazia.
- Lo Stato è una istituzione di diritto naturale, il cui oggetto immediato è la vita umana con le sue attività, le sue virtù naturali, e il bene comune umano.
Lo Stato e l'attività politica hanno un valore per se stante, non meramente strumentale, in quanto siano subordinati alla morale e al fine trascendente dell'uomo.
- I membri della Stato, in quanto uomini, sono tenuti a ricercare la verità religiosa e a rendere a Dio il culto dovuto privato e pubblico.
Ma lo Stato, in quanto complesso di uomini e di istituzioni, che , con strumenti politici sono preposti alla cura del bene comune, per sé non sono tenuti a formulare giudizi di valore sul piano religioso e a farsi portatori di una determinata ideologia religiosa, filosofica o scientifica. Essi sono sprovvisti di mezzi necessari per formulare questi giudizi di valore, né hanno alcuna garanzia d'infallibilità, nell'emetterli e nell'imporli, come prescrizioni e programmi: devono perciò limitarsi a giudizi pratici, di ordine sociologico.
Lo Stato è quindi strutturalmente non confessionale perché laico.
Questa laicità non nasce come il vecchio laicismo, ancora vivo e velenoso. È una laicità che ammette la subordinazione della politicità alla morale, ma nel contempo vuol essere la proiezione democratica e politica del principio della libertà delle coscienze, della indipendenza dello spirituale dal temporale, della distinzione tra Dio e Cesare.
Se vogliamo combattere la spirale laicista e relativista di certa cultura politica, non dobbiamo arretrare in posizioni confessionalistiche o clericali, ma promuovere quella sana e serena laicità come frutto irrinunciabile della liberazione operata dal Vangelo di Cristo.
La valenza profetica del cristianesimo è una della caratteristiche della pedagogia di Gesù.
La Lumen Gentium (n. 31) dice: "L'indole secolare è propria e peculiare dei laici. Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i singoli doveri e affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l'esercizio del proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e, in questo modo, a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità."
Dobbiamo essere coraggiosi, direi temerari, nel proclamare, con la nostra vita specchiata e credibile, le verità del Vangelo, nel loro fascino e nella loro attualità, perché, sottoposte inesorabilmente al vaglio del dibattito democratico, possano diventare, con la loro intrinseca verità, bagaglio comune e scelta liberamente condivisa.
Senza raggiri o alleanze segrete, per forzare la mano in una specie di strategia del bene.
La verità, se è autenticamente evangelica e profetica, non ha bisogno di compromessi o di patteggiamenti, ma trionferà anche dentro uno stato laico e in una democrazia che non è più sfida, ma diventa evento, avventura per un futuro politico dove il destino dell'uomo e la sua dignità ritrovano il loro insostituibile posto centrale.
E sarà questo anche il mezzo migliore e più efficace per smascherare i falsi profeti, che si spacciano per difensori della fede e dei valori cristiani, solo per consolidare il proprio potere.
Gesù Cristo non ha cercato la protezione e l'alleanza coi i potenti, con i signori del tempio, ma ha "innalzato gli umili e ha disperso i superbi rimandando i ricchi a mani vuote."
Una Chiesa più profetica avrà certamente, anche nel mondo e nella società di oggi, più credito e più ascolto, per il bene di tutti, credenti e non credenti.
E allora la sfida si capovolgerà. Perché sarà la profezia evangelica a sfidare la democrazia.
mons. Alessandro Plotti