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pubblicato mercoledì 21 marzo 2012
Giuseppe Toniolo non fu soltanto un teorico dell'economia, come attesta il suo voluminoso "Trattato di Economia", ma anche e soprattutto un riformatore sociale.
Il suo intento ultimo era quello di individuare i cambiamenti che dovevano essere introdotti nella vita sociale del suo tempo per migliorarla e battersi per essi. Fu un militante, infatti si coinvolse nel movimento dei cattolici, l'Opera dei congressi, e cercò in tutti i modi di indirizzarla a impegnarsi per i cambiamenti, incontrando non poche resistenze da parte dei componenti più anziani. Emblematico fu il suo progetto di fondare "L'Unione cattolica per gli studi sociali", un'organizzazione che intendeva aggregare tutte le forze del campo cattolico orientate alla promozione sociale e che i dirigenti dell'Opera osteggiarono, perché pensavano che distogliesse dall'obiettivo principale, la difesa dei diritti del papa. Il Toniolo riuscì a farla sorgere a Padova nel 1898 e dal 1893 iniziò la pubblicazione della "Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie".
Ciò che suscitò nel Toniolo l'impegno riformatore fu la situazione in cui si trovavano le masse popolari, quelle contadine e quelle operaie. Benché in Italia i lavoratori dell'industria fossero ancora una classe minoritaria, egli intuiva che in essa stava il nodo sociale del futuro e per questo gran parte del suo lavoro era diretto ad essa, pur senza trascurare i problemi dell'agricoltura.
Toniolo ebbe la chiara consapevolezza della situazione disastrosa degli operai in balia di uno sfruttamento disumano. Al tempo del capitalismo selvaggio, com'era quello allora imperante, non esisteva una regolamentazione legislativa nel rapporto di lavoro, ma solo "la finzione - scriveva nel 1901 - di un contratto tacito, la quale inaugurò di fatto e con la nomea di libertà, il regno degli abusi più flagranti e con essi l'avvilimento delle mercedi, la prostrazione morale, la degenerazione fisiologica, il disprezzo e l' oppressione sociale delle moltitudini di lavoratrici, in mezzo alla trionfante economia moderna".
La causa di questo stato era dunque imputabile a quelle dottrine che "spengono ogni coscienza del dovere presso i ceti soprastanti, erigendo al suo posto l'utilitarismo gretto e crudele dei padroni di fronte agli operai". Si trattava delle dottrine liberiste che allora orientavano tutta l'attività economica.
Ma il Toniolo vide con altrettanta preoccupazione l'affermarsi del socialismo, anche in Italia, come reazione a questa situazione.
Per lui non c'era possibilità di riconciliazione con il socialismo marxista: "Nulla noi dimandiamo al socialismo dottrinale - scriveva nel 'Programma dei cattolici di fronte al socialismo' del 1894 - che sotto la maschera di emancipazione prepara un più crudele e universale servaggio; e respingiamo fin anche il socialismo cattolico che talvolta ci si attribuisce o rinfaccia, perocché il socialismo è la negazione intrinseca del cristianesimo, e il suo programma è l'antitesi del nostro". Interessante la puntualizzazione sul "socialismo cattolico" di cui egli era spesso accusato, anticipazione dell'accusa di "cattocomunismo" dei nostri giorni a chi si impegna nel sociale.
Constatando la decadenza del liberismo e l'avanzata del socialismo egli dichiarava nel medesimo scritto: "Non vi è posto ormai che alla rivoluzione socialista oppure al restauro sociale cristiano".
Il presupposto del progetto riformista del Toniolo è che l'economia e tutto l'assetto sociale che essa comporta, non può prescindere dalle esigenze della morale, se vuole essere a servizio dell'uomo. Egli combatté con tutte le sue forze l'idea, sostenuta dalla cultura liberale, che l'economia deve essere libera da preoccupazioni etiche.
Aveva iniziato i suoi studi sulla società partendo da questa convinzione che egli espose nella sua prima opera, la prolusione all'Università di Padova, intitolata "Dell'elemento etico quale fattore intrinseco delle leggi economiche".
Questo contenuto etico egli lo identificò sempre con la morale cattolica, da qui la sua convinzione che l'unica riforma efficace consisteva nel restaurare l'ordine sociale cattolico che la riforma protestante, prima, e poi lo sviluppo della cultura moderna, la Rivoluzione francese e infine il socialismo di Marx avevano cancellato.
La ferma convinzione che solamente la sottomissione dell'attività economica ai dettami della morale cristiana avrebbe risanato i mali della società, è stata l'idea che guidò tutta la sua attività di studioso e di riformatore sociale.
Il salario del lavoratore era il punto cruciale sul quale bisognava innanzitutto intervenire.
Il Toniolo non criticava il contratto di lavoro in sé (e quindi il capitalismo), ma ne esigeva la regolamentazione: "La parte di mercede che risponde ai fini necessari dell'esistenza del lavoratore probo e onesto non può diminuirsi per alcun patto contrattuale".
Il contratto di lavoro, quindi, doveva essere tutelato, ed egli vide nella stipula di contratti collettivi obbligatori la soluzione: "Contratti di lavoro collettivi - scriveva in 'La riforma del contratto del lavoro', del 1901 -: grande innovazione destinata a sostituire la libertà e la giustizia degli accordi al posto della violenza e della lotta di classe".
Il contratto non doveva riguardare solo il salario, ma doveva comprendere anche un miglioramento generale della condizione di vita del lavoratore, quindi via via egli individuò gli altri obiettivi da raggiungere, come gli orari di lavoro, le condizioni di sicurezza, il sostegno nella malattia, la pensione di vecchiaia. Tutti aspetti di una moderna politica del lavoro che egli tempestivamente intravide e che al suo tempo mancavano del tutto.
Ma se si esclude la violenza della rivoluzione e la lotta di classe, come ottenere questi obiettivi? La via per giungervi, secondo il Toniolo, non era tanto l'intervento dello Stato, che non escludeva, mal'iniziativa dei soggetti interessati, lavoratori e proprietari, che si dovevano associare per poter creare dei soggetti capaci di stabilire giusti contratti, validi per tutti. L'intervento dello Stato era necessario, ma per sancire a livello legislativo ciò che era stato raggiunto dalle iniziative che partivano dalla base.
Fu questo il punto sul quale egli insistette maggiormente. Una delle sue accuse all'assetto sociale del capitalismo liberista riguardava l'"atomizzazione" della società. Una società formata da individui isolati dove il più forte inevitabilmente dominava.
Bisognava ricostruire la società riaggregando gli individui nelle formazioni sociali. Egli concepiva la società in maniera organica, cioè una società in cui gli individui vivevano aggregati in diverse entità sociali, derivanti dalla natura umana e gerarchicamente ordinate. Una visione, questa, della società non priva di ambiguità, perché poteva comportare l'idea di classi egemoni e di classi subordinate, come dato imposto dalla natura che contrastava con l'uguaglianza sostanziale di tutti i membri. Ad ogni modo egli, partendo da questa idea, insisteva sulla necessità della formazione delle "unioni professionali" che dovevano unire i soggetti che operavano nello stesso settore produttivo. Si tratta del moderno sindacato di categoria? Non propriamente, egli pensava piuttosto alle corporazioni medioevali che univano insieme operai e padroni.
Per lui questa era la formazione ideale, che superava alla radice la lotta di classe e che otteneva i migliori risultati. Tuttavia, egli riconosceva, realisticamente, che per ora era impossibile questa forma, per cui accettava le unioni professionali "semplici", formate di soli operai (gli attuali sindacati), ma le considerava un effetto delle vicende storiche che contrapponevano le due classi e che, diceva, "rendono pressoché impossibile il loro ravvicinamento armonico nello stesso organismo".
Egli considerò provvisoria la forma sindacale e continuò sempre a pensare come ideale la forma corporativa.
Un'altra idea che stava molto a cuore al nostro Toniolo, sempre nell'ambito della riforma dei rapporti del lavoro, era la partecipazione degli operai all'impresa fino a farli diventare cogestori insieme ai proprietari. Inoltre, egli fu un attivo sostenitore dell'impresa cooperativa dove i proprietari coincidono con i lavoratori e si adoperò allo sviluppo di questa modalità imprenditoriale. Fu, ad esempio, uno dei promotori della storica Latteria di Soligo, fondata nel 1883. Anche attraverso questa via egli sperava di togliere alla radice la funesta lotta di classe.
L'obiettivo della partecipazione è collegato alla dottrina sulla proprietà privata dei beni che egli approfondì nei suoi studi.
Contro il socialismo egli affermò il diritto fondamentale alla proprietà e per questo ne auspicò la più ampia diffusione anche nel campo agricolo. Tuttavia affermò: "Nella proprietà in genere, e in ispecie quella fondiaria, al carattere essenzialmente privato di essa devono aggiungersi caratteri e ordinamenti che ne esplichino ad un tempo la funzione sociale collettiva". Questa "funzione sociale collettiva" deriva dal fatto che i beni materiali, compresi i moderni mezzi di produzione, restano, in un certo senso, di tutti, perché la loro prima destinazione è per il bene di tutti.
Questo è un altro caposaldo della Dottrina sociale della Chiesa che egli aiutò a individuare e definire. La partecipazione degli operai all'impresa è un'esigenza di questo carattere della proprietà. Anche nel campo della partecipazione operaia egli contribuì ad aprire una strada che ancor oggi è percorsa con crescente interesse.
La critica ai sistemi ideologici del tempo, il liberismo presente fin dall'inizio della moderna economia e il socialismo allora in piena espansione, e la ricerca della soluzione dei problemi sociali in accordo con la visone cristiana dell'uomo, sono certamente gli apporti più evidenti dell'impegno del Toniolo in campo sociale che restano sostanzialmente validi anche al giorno d'oggi.
don Gian Piero Moret
(da L'Azione, del 22/1/2012)