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pubblicato mercoledì 21 marzo 2012
L'organizzazione dell'Opera dei congressi, sorta dopo l'Unità d'Italia, aveva mobilitato i cattolici in difesa dei diritti del papato, violati dal nuovo Stato unitario. A questo primo obiettivo si era sempre più evidenziato un altro scopo: affrontare i numerosi problemi delle masse popolari che i governi liberali trascuravano. Abbiamo visto che il Toniolo era stato uno dei principali artefici nel suscitare nell'Opera questo nuovo impegno. Ma a cavallo dei due secoli, Ottocento e Novecento, tra questi cattolici, soprattutto nei più giovani, sorse un'altra preoccupazione: l'impegno politico. L'azione sociale dei cattolici era destinata a rimanere in gran parte inefficace, se ad essa non si univa l'azione politica. Ma sappiamo che ai cattolici era interdetta la partecipazione politica, in quanto la Chiesa non riconosceva la legittimità del nuovo Stato.
La partecipazione dei cattolici alla vita politica diventò un'esigenza sempre più forte, creando tensioni all'interno dell'Opera dei congressi. Partecipazione politica significa anche adesione agli strumenti dello stato democratico: l'organizzazione di un partito, la partecipazione alle competizioni elettorali. Era possibile tutto questo? Il problema assunse dimensioni più generali: non era solo in questione la partecipazione dei cattolici, ma anche il significato stesso della democrazia e il suo rapporto con la fede. La democrazia, con le sue idee fondamentali, in primis la sovranità popolare, era compatibile con la fede? La dottrina sociale cristiana, che nell'ambito economico e del lavoro aveva fatto grandi progressi, non aveva ancora elaborato un pensiero politico sullo Stato democratico. Nei confronti delle nuove forme politiche avanzava ancora molte riserve.
L'esigenza di un impegno dei cattolici nella politica prese corpo in un movimento, all'interno dell'organizzazione cattolica, guidato da un giovane prete marchigiano, don Romolo Murri. Il movimento prese il nome di "Democrazia cristiana". Dal nome stesso era evidente non solo la rivendicazione della partecipazione politica, ma anche la piena compatibilità delle dottrine democratiche con la dottrina della fede, anzi, si argomentava, la vera democrazia non poteva che essere cristiana, se voleva essere autentica. Non tutto era chiaro in questo movimento che prospettava tali aperture. Si infiammò un grande dibattito in seno al mondo cattolico, tanto che intervenne anche il vecchio papa Leone XIII con l'enciclica "Graves de Comuni" del 1901 in cui affrontò di petto la questione, dichiarando che cosa si dovesse intendere con il termine "Democrazia cristiana". Non condannò l'idea, ma la svuotò di ogni senso politico: "Sebbene - scriveva - la parola democrazia (chi guardi bene all'etimologia e all'uso dei filosofi) serva ad indicare una forma di governo popolare, tuttavia nel caso nostro, smesso ogni senso politico, non deve significare se non una benefica azione cristiana a favore del popolo". Solo in questo senso, come impegno sociale in favore delle classi più povere, si poteva accettare l'espressione Democrazia cristiana. In pratica era la sconfessione del movimento di don Murri che, però, continuò a percorrere la sua strada, finendo per mettersi fuori dalla Chiesa.
Quale fu la posizione del Toniolo in questa delicata questione? Egli non poteva seguire il Murri, glielo impediva il suo senso della Chiesa che lo faceva attento ad ogni indicazione della gerarchia. Tentò di mediare tra le due tendenze, ma senza grande successo. Mancò l'obiettivo della conciliazione anche per la sua formazione. Sensibilissimo ai problemi sociali, sapeva individuare in questo ambito le esigenze giuste e sapeva rispondere ad esse con geniali intuizioni, invece nell'ambito delle istituzioni politiche si muoveva con più incertezza e con spirito meno aperto. Non si estraniò dal dibattito, non era nel suo carattere, ma vi entrò diffidando di queste nuove aspirazioni maturate all'interno del mondo cattolico.
Il Toniolo affrontò apertamente il problema in uno scritto del 1897, quindi qualche anno primo dell'intervento pontificio, intitolato: "Il concetto cristiano di democrazia". Egli ne dà questa sintetica definizione: "Democrazia è quell'ordinamento civile nel quale tutte le forze sociali, giuridiche ed economiche, nella pienezza del loro sviluppo gerarchico, cooperano proporzionalmente al bene comune, rifluendo nell'ultimo risultato a prevalente vantaggio delle classi inferiori". È una definizione che risulta un po' nebulosa alla nostra mentalità che, parlando di democrazia, subito pensa alla partecipazione del popolo al voto per eleggere i propri rappresentanti, scegliendo tra i candidati proposti dai vari partiti che seguono indirizzi politici diversi. Il Toniolo dà poca importanza a queste modalità. Li chiama aspetti secondari della democrazia. Possono anche mancare perché non fanno parte della sua sostanza. La democrazia, invece, consiste nel realizzare, in una concreta società, il bene comune che ha come primo segno l'elevazione delle classi più povere, bene comune che si raggiunge quando tutte le forze che compongono la società si impegnano per esso. Siamo d'accordo che il bene comune è il fine cui tende la politica, ma per noi sono decisive le procedure con cui si tenta di arrivare alla sua realizzazione. Le procedure democratiche, con la pluralità dei partiti e il diritto al voto individuale, non sono aspetti secondari, come afferma il Toniolo, ma sono la sostanza della democrazia. Sono la via per raggiungere il bene comune at traverso la partecipazione di tutti i cittadini. La migliore e la più efficace, fino a questo momento.
Ecco un altro significativo passaggio dello scritto: "La democrazia, considerata nel suo contenuto essenziale, non si confonde con nessuna forma di governo o di reggimento politico. Essa è determinata dalla convergenza di tutte le forze vive della società e di tutti i suoi presìdi economici, civili, giuridici al fine del bene comune e quindi a quello speciale delle moltitudini, indipendentemente dal tipo di governo". La sua insistenza sulla convergenza di tutte le componenti della società, rivela una concezione organica di essa. Vale a dire la società concepita come un corpo i cui organi sono i vari gruppi sociali che la compongono. Si è già notata l'ambiguità che una tale concezione comporta, perché in essa gli individui non hanno grande rilievo come attori politici, mentre si dà soprattutto rilievo alle realtà più o meno stabili che compongono la società e che sono disposte secondo un ordine gerarchico. Secondo il Toniolo la democrazia si realizza quando tutte queste componenti si trovano concordi, ciascuna per la sua parte, nel realizzare il bene comune. Ma le componenti della società non formano un insieme naturalmente armonico, hanno interessi diversi, sono spesso in contrasto. Le procedure democratiche sono le uniche che permettono di raggiungere una certa convergenza in questa diversità e stabiliscono secondo quale indirizzo sviluppare la vita di un paese.
A Leone XIII succedette, nel 1903, Pio X che tra le sue prime decisioni chiuse, nel 1904, l'esperienza dell'Opera dei congressi, ormai profondamente divisa, e la sostituì con una nuova struttura organizzativa dei cattolici per la quale incaricò Giuseppe Toniolo, cui affidò, poi, la presidenza dell'Unione popolare, una delle tre in cui era divisa la nuova struttura.
Noi, oggi, con la nuova sensibilità, avremmo voluto vedere il Toniolo tra quei cattolici che, pur accettando di rimanere estranei alla partecipazione politica, secondo le indicazioni della gerarchia, si preparavano però per un loro futuro inserimento. Preparazione nell'astensione, si diceva. Avremmo voluto vedere il Toniolo considerare con attenzione le nuove idee che un atro prete, don Luigi Sturzo, andava maturando e che espose nel suo discorso a Caltagirone del 1905 sulla situazione dei cattolici e la vita della nazione, preludio del futuro Partito popolare, strumento indispensabile, secondo lui, per non cadere nelle ambigue alleanze dei "clerico-moderati". La posizione del Toniolo fu diversa. Egli cercò di contribuire alla causa della società e del cattolicesimo lavorando accanto al nuovo Pontefice per il rinnovamento dell'associazionismo cattolico, lasciando da parte la preoccupazione di un partito e della partecipazione politica. Ognuno nella Chiesa ha il suo "carisma" che gli assegna compiti specifici. Ma anche in questa posizione egli riuscì ad esprimere la sua originalità, dando avvio alle Settimane sociali dei cattolici che furono, e sono tuttora, uno strumento importante per il rinnovamento della società.
Mentre Giuseppe Toniolo ci è presentato, nella imminente beatificazione, come esempio di vita cristiana vissuta nella professione di docente, nella dedizione alla famiglia, nella partecipazione alla vita della Chiesa e nell'impegno sociale, è doveroso attingere anche al suo pensiero che, spogliato di alcuni aspetti caduchi, è parte importante della Dottrina sociale della Chiesa.
don Gian Piero Moret
(da L'Azione, del 5/2/2012)