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pubblicato martedì 5 maggio 2020
Quello del Coronavirus è il tempo della scelta: ci aiutato a prenderne consapevolezza papa Francesco la sera del 27 marzo scorso, davanti a una Piazza San Pietro deserta. «Il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è», il tempo per un orientarci di nuovo verso il Signore e i fratelli, diceva ancora il papa. O verso un autentico umanesimo, potremmo dire noi in termini più laici.
Anche il lavoro risulta, in questo contesto, un ambito non scevro da provocazioni e urgenze, alimentate dalla crisi economica che il Coronavirus sembra provocare, crisi che – secondo le parole di Kristalina Gheorgieva, direttrice del Fondo Monetario Internazionale – potrà risultare addirittura peggiore di quella del 2008.
Crisi. Tempo, appunto, della decisione, della scelta di chi vogliamo essere e di quale economia vogliamo costruire. Incapaci come siamo di scrollarci di dosso un sistema che fa del profitto e della ricchezza materiale l’unico parametro di misura, la storia continua a farsi “Parola di Dio” incarnata, chiedendoci una nuova conversione. Da almeno quarant’anni la Dottrina Sociale della Chiesa parla in modo chiaro del primato del lavoro sulla ricchezza e del primato dell’uomo sul lavoro (cfr. Laborem exercens, n. 13), per culminare in Laudato Si’ a ricordarci che la relazione è il bene più prezioso da coltivare e custodire perché “tutto è connesso” in questa nostra “casa comune”.
Solo richiamando questo contesto ha senso porsi la domanda: che ne sarà del nostro futuro? che ne sarà del lavoro, dell’economia, delle nostre famiglie, mentre ci apprestiamo ad avviare la “fase 2” di questa pandemia? Perché la risposta non può essere solo economica, fabbricata dall’economia che siamo abituati a conoscere. Le risposte non potranno che essere le medesime di sempre: sostegno alle imprese, politiche per l’occupazione, tutela dei lavoratori, dialogo tra le istituzioni, invocando un’Europa che però sempre più faticosamente sa dimostrarsi unita e solidale.
Occorre fare una scelta diversa, per restare davvero umani. Il Coronavirus ci sta parlando di uomini e donne che si prendono cura degli altri, di operatori sanitari (ma anche insegnanti!) che “salvano” l’Italia andando oltre il semplice dovere e meri conteggi economici. Ci parla di dialogo tra le generazioni, sperimentando che le scelte di ciascuno hanno influenza sul bene (o male) di tutti.
In tempi di altre crisi, il nostro Paese seppe rialzarsi dalla povertà della Grande Guerra riscoprendo il valore della cooperazione e la solidarietà come criteri etici, economici e politici, resi concreti a partire dalle intuizioni e dalle scelte di personaggi della caratura del beato Giuseppe Toniolo o di don Luigi Sturzo. Anche oggi il prendersi cura, valorizzando reti e connessioni sociali, investendo non solo nei beni materiali ma anche nel cosiddetto Terzo settore e nella forza delle relazioni, potrà essere un ambito che genera lavoro e ricchezza. Una ricchezza fatta non solo di profitti monetizzabili, ma che, come dimostrano i tempi di crisi, è quella che davvero conta.
Don Andrea Forest
Delegato vescovile per la pastorale sociale e del lavoro
(pubblicato nel settimanale diocesano L’Azione per la Festa del Lavoro del 1° maggio 2020)